Carlo Bernari, libro postumo: «Gialli fulminanti» è in stile Maigret

Raccolti i «legal thriller» ispirati a fatti di cronaca nera che nel 1981 lo scrittore firmò per «Il Mattino»

Carlo Bernari con Eduardo De Filippo
Carlo Bernari con Eduardo De Filippo
di Antonio Saccone
Venerdì 3 Maggio 2024, 07:00 - Ultimo agg. 4 Maggio, 08:04
4 Minuti di Lettura

«È possibile scrivere un racconto giallo che non superi la lunghezza di una colonna di quotid-iano, l’equivalente di poco più di due cartelle di dattiloscritto?»: la domanda fu posta nel 1981 dalla redazione de «Il Mattino» a Carlo Bernari (Napoli, 13 ottobre 1909 – Roma, 22 ottobre 1992), all’epoca collaboratore del nostro quotidiano.

Lo scrittore-giornalista, accettando la sfida, rispose proponendo nel corso di quell’anno, dall’aprile al novembre, sedici brevi (talune brevissime) storie alimentate da quotidiane notizie di cronaca nera, configurate come «legal thriller». 

Sono ora pubblicate con il titolo Gialli fulminanti (Langella Edizioni, pagine 96, euro 12), introdotte da uno scritto di Enrico Bernari, figlio di Carlo, che fornisce utilissime informazioni storico-critiche, condotte con agile acutezza.

Già nelle opere degli anni Trenta-Quaranta l’autore di Tre operai aveva mostrato di saper affidare la sua fisionomia narrativa alla struttura del «giallo metafisico», orientato - come precisa il prefatore - alla «denuncia di un mondo pauroso fatto di soprusi e violenza», «a svelare le trame nascoste, i misteri celati sotto la facciata della presunta realtà oggettiva», ben prima ancora, dunque, che divenisse lo stigma espressivo del Pasticciaccio brutto di via Merulana di Gadda.

È una modalità compositiva che conferma, ancora una volta, l’improponibilità dell’attribuzione di Bernari al codice neorealista, a cui pure è stato accostato da qualche critico. L’anno precedente all’ideazione dei Gialli fulminanti l’autore dà alle stampe Il giorno degli assassinii, ispirato ad un’efferata vicenda di sangue, un triplice omicidio avvenuto nel 1975 a Napoli, in Via Caravaggio, per il quale era stato condannato in prima istanza Domenico Zarrelli.

Caso pressoché unico e paradossale il romanzo di Bernari è utilizzato dal collegio di difesa (che sottolinea come esso dia «un contributo notevolissimo alla corretta interpretazione dei fatti») nella fase di appello del processo e servirà ad assolvere l’imputato. Lo scrittore è invitato addirittura a spiegare in aula la sua versione dei fatti, alla quale si farà esplicito riferimento nel dispositivo della sentenza che scagiona quello che era stato in un primo tempo additato come «il mostro di Napoli». 

Nell’anno del verdetto di assoluzione Bernari, acconsentendo all’invito del «Mattino» di curare una rubrica di concisi e fulminei racconti gialli, vi riversa in sedicesimo la sua passione per il suo idolo Maigret.

Nelle storie attinte dalle varie malefatte su cui è tramata la quotidianità più consueta e movimentata il soggetto narrante, dietro le vesti di agente immobiliare, dà vita alle sue controinchieste, configurandosi come vero e proprio investigatore, disposto «agli spostamenti repentini da quartiere a quartiere, da ambiente ad ambiente, passando da un camuffamento all’altro», che gli permettono di far luce, attraverso minimi indizi, sulla verità di piccole e grandi malefatte. 

Nascono, così, questi Gialli fulminanti, consegnati ad una scrittura sintetica e vivace, come richiesto dagli spazi ristretti che erano stati imposti a Bernari, che documenta la capacità di incalzare e illuminare il variare della brutalità circostante ed arrivare così, sorprendentemente, al cuore delle cose. La conseguente velocità imposta anche al tempo della lettura rende questo libretto un piacevole unicum, ulteriore tassello della trama di un singolare scrittore da riscoprire e rilanciare. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA