La visione (che manca) per ridare smalto alla Ue

di Giuseppe Vegas
Sabato 4 Maggio 2024, 23:34 - Ultimo agg. 5 Maggio, 07:00
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Le elezioni europee si avvicinano. Le liste sono pronte e le candidature sono state presentate. Tutto bene? Forse. Ma c’è qualcosa chenon va. Qualcosa che scricchiola. Intendiamoci, in un periodo ordinario l’operazione a cui stiamo assistendo non offrirebbe particolare motivo di interesse;tutto si svolgerebbe secondo una consolidata tradizione.

I candidati sono, come sempre, quelli che secondo l’opinione dei partiti rappresentano le persone più adatte per convincere gli elettori a dare il loro consenso. Si mira a personalità mediatiche, più che a professionalità specifiche per il compito che le aspetta. Tuttavia, quello della scelta dei candidati non costituisce iltema oggetto dimaggior rilievo. Anche le piattaforme politiche si ispirano a logiche stantie. Chi propone un’Europa più forte, chi insegue logiche identitarie, chi vorrebbe mettere all’angolo itecnocrati, chi intende estendere a livello continentale i propri interessi nazionali.

Il tutto in una logica inconcludente, che sembra voler mantenerenel solco del passato proposte caratterizzate più dall’ideologia che dalla concretezza dell’azione. Mentre la scelta deifuturi deputati italiani a Bruxelles caratterizza un tema spiccatamente interno, quello della risposta che l’Unione europea dovrà dare ai cambiamenti in atto nel mondo costituisce un problema per l’intero continente. Oggi le posizioni dei vari Stati membri sono tanto distanti che la Commissione ha ritenutonecessario delegare a soggetti esterni rispetto al parlamento e al governo comunitario la redazione di due rapporti per delineareun piano di azione per il prossimo quinquennio. Mossa inconsueta, che la dice lunga sulle difficoltà che si profilano all’orizzonte Il paradosso di una simile situazione dipende dalfatto che il mandato a redigere i documenti, confezionati dagliitaliani Draghi eLetta, è stato affidato loro dal governo europeo uscente, non da quello che ci governerà nei prossimi cinque anni.

Almeno sotto un profilo strettamente formale, sitratta di documenti che, per loro natura, sarebbero destinati ad essere consegnati direttamente all’archivio il giorno stesso delle elezioni europee. Tutto lascia pensare, inrealtà, che saranno ripescati e da essi sarà tratta la necessaria ispirazione permodificare molte delle nostre regolenegli anni a venire. Si rende palese a questo punto un problema politico che non va sottovalutato. Se la prossima maggioranza sarà diversa da quella attuale, potrebbe non essere deltutto agevole giustificare un simile repechage. Se invece saranno le medesime forze politiche a guidarci, occorrerà spiegare perché le proposte dei due rapporti non siano state fatte proprie nella campagna elettorale. In realtà,nessun partito si è espresso conchiarezza indicando quale siano le scelte necessarie per affrontare e venire a capo degli inequivocabili segnali di decadenza che contraddistinguono, ogni giorno di più il Vecchio Continente.

Si tratta di undibattito che sembra non voler uscire dalla cerchia ristretta di intellettuali, economisti e sociologi e dei molti che si atteggiano a “guru” in giro per il mondo.

Non a caso, i politici lo evitano accuratamente. Occorre muoversiin un campo alquanto scivoloso, soprattutto quando si dovrebbe dire la verità agli elettori. Ma, come si sa, la politica preferisce vendere sogni. Altrimenti si corre il rischio di alimentare la paura e di perdere i consensi. Soprattutto se si indicano ricette che dimiele ne possono contenere assai poco. La realtà ci impone di abbandonare i metodi del passato, quando si ricorreva all’espediente di indicare una serie di problemi, rinviando agli annifuturi la loro concreta soluzione, nella speranza che la parte difficile toccasse a qualcun altro.

La condivisibilità dell’obiettivo è stata utilizzata per far premio rispetto alla sua realizzabilità. Basti pensare a quanto è avvenuto sotto l’ombrello della politica ecologica: la restrizione nell’immediato all’utilizzo delle tradizionalifonti energetiche senza averne a disposizione dinuove; l’estensione del concetto di sostenibilità a tutti itipi di impresa, comprese anche quelle finanziarie, conla conseguente restrizione del credito;la distruzione dell’industria, e soprattutto della capacità di progettazione, dell’automotive europea, solo per citare i casi più evidenti.E tutto subito. Senza considerare che obiettivi così importanti rappresentano un costo elevatissimo, che non può essere calcolato insoli 500 miliardi l’anno, somma di per sé ampiamente sottovalutata, dato che non tiene conto degli effetti indotti.

A questi ingenti oneri poi vanno aggiunti quelli che ancora citrasciniamo per effetto della pandemia e quelli che saranno necessari per far fronte ai crescenti conflittiinternazionali.Iltutto senza avere adeguatamente individuata la via per reperire le necessarie risorse e permitigare gli effetti nocivi della concorrenza sleale dei paesi che continuano a produrre senza rispettare i vincoli a cui è sottoposto il mondo produttivo europeo. I problemi sono molteplici enon si può pensare di poterli risolvere subito e tutti insieme.

Proprio per questo sarebbe indispensabile darsi una visione di ampio respiro, che contemperi, secondo una scala temporale realistica, le esigenze della rivoluzione tecnologica e del rispetto ambientale, senza contemporaneamente comprimere ulteriormente iltenore di vita della popolazione. Le proteste che sono andate montando a causa delle misure relative all’agricoltura e all’industria automobilistica costituiscono un campanello d’allarme chenon va sottovalutato. Per essere credibili, le forze politiche italiane dovrebbero già da oggi chiarire agli elettori come intendano riportare competitività e sviluppo nella vecchia Europa, per ridarle quello “smalto”, che si è andato rapidamente opacizzando negli ultimi anni.

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